INTELLIGENZA ARTIFICIALE

 

Nel mondo c’è chi lavora a impianti cerebrali per integrare l’intelligenza umana e quella artificiale.
Lo stato della ricerca sulle intelligenze artificiali induce anche alcune riflessioni sullo sviluppo della tecnologia e le sue possibili implicazioni.

Recentemente è stata presentata l’ultima versione di Sophia, intelligenza artificiale il cui volto è modellato sulle fattezze di Audrey Hepburn. “Prodotta” dalla Hanson Robotics, azienda di robotica con sede a Hong Kong, Sophia è in grado di interagire con gli esseri umani: risponde infatti alle domande che i giornalisti e non solo le pongono. Ricorda le conversazioni precedenti e impara sia da esse che dall’infinito database di informazioni che è Internet, a cui la sua intelligenza artificiale è connessa. Infine mostra fisicamente le proprie reazioni agli stimoli, tramite 65 diverse espressioni facciali. La stupefacente e sempre maggiore somiglianza di quest’ultima versione di androide ha addirittura indotto l’Arabia Saudita a concederle la cittadinanza, destando ironie se non polemiche su quanto velocemente una donna-robot abbia ottenuto diritti civili che le donne in carne e ossa inseguono con difficoltà e sofferenze ben maggiori.
Ciononostante, la sensazione che Sophia restituisce all’interlocutore è impressionante. Si ha forse per la prima volta la sensazione di avere a che fare con un essere senziente e autonomo, non più con un programma le cui azioni sono ridotte a un numero, per quanto ampio, di possibili risposte predeterminate.
Sempre più, quindi, gli sviluppi nella ricerca sull’intelligenza artificiale come Sophia rappresentano l’ennesima occasione per riflettere su come la tecnologia stia assottigliando la barriera che separa la realtà dalla fantascienza. L’epoca della singolarità tecnologica, il momento cioè in cui le macchine dotate di intelligenza artificiale raggiungeranno uno sviluppo tale da rendersi del tutto autonome dai loro creatori, sembra quindi passare da concetto perlopiù fantascientifico a concreta possibilità.
Raymond Kurzweil, tra i più famosi teorici di tale prospettiva, oltreché collaboratore di Google dal 2012 per progetti sul machine-learning, ritiene che entro il 2040, grazie al processo esponenziale di sviluppo tecnologico, le macchine saranno in grado di superare il test di Turing, vale a dire il test che determina se una macchina sia in grado o meno di pensare autonomamente, uno stadio a cui androidi come Sophia non sono ancora arrivati. Ma prima di quella data, secondo Kurzweil l’uomo sarà sempre più una combinazione vivente di componenti biologici e meccanico-informatici, una versione quindi 2.0 di sé stesso.
Tramite quella che chiama “la rivoluzione Gnr”, genetica, nanotecnologica e robotica (la scienza di cui Sophia è figlia), l’uomo sarà sempre più in grado di migliorare la propria struttura fisica e biologica grazie ai benefici che queste tre discipline forniranno nei prossimi anni.
Nonostante gli entusiasmi suscitati da questa possibile nuova era per l’umanità, sono in molti a temere per un aumento tanto prodigioso dell’autonomia delle macchine. Dal filosofo Nick Bostrom a Elon Musk, fondatore di Tesla Motors, la paura che l’intelligenza artificiale completamente autonoma trasformi l’essere umano da suo creatore a suo sottoposto appare non priva di fondamento.
La ricerca sull’intelligenza engrammatica ha reso concreta la possibilità di aumentare le performances mentali, imparare meglio e più velocemente, puntando al potenziamento cognitivo delle più alte funzioni cerebrali dell’uomo (memoria, processamento delle informazioni, elaborazione, ecc.).
Andando controcorrente, la filosofia di base della ricerca sul metodo engrammatico è quella di investire nella scoperta e nella creazione di strumenti operativi, metodi e strategie cognitive che possano potenziare “l’intelligenza naturale” dell’uomo e quella parte dormiente del nostro cervello, inutilizzata e inesplorata, per migliorare la capacità di ragionamento, la memoria, la creatività e l’apprendimento.
Riflettiamo sugli esiti e sugli sviluppi incontrollati dell’intelligenza artificiale.
Se l’intelligenza artificiale è al servizio dell’uomo e serve a migliorare le sue prestazioni intellettuali in modo naturale (interazione uomo-macchina), allora questa direzione porterà alla crescita, al benessere e al vero progresso.
Se invece l’intelligenza artificiale vuole creare dei “cyborg” (integrazione/fusione uomo-macchina), attraverso chip impiantati direttamente nel nostro cervello (o altri dispositivi fortemente intrusivi), trascurando i potenziali rischi e le possibili conseguenze e controindicazioni, allora l’uomo, come oggi noi lo conosciamo, è destinato ad estinguersi.
Noi vogliamo che lo studio e la ricerca sull’intelligenza artificiale non snaturi l’essere umano, ma sia qualcosa che lo aiuti nella sua vita e nel suo lavoro, nel modo giusto e attraverso una corretta ed equilibrata visione di valore tra mezzi (macchine) e fini (esseri umani).
La tecnologia può essere una fede? Il futuro è dei cyborg? L’uomo continuerà ad avere un ruolo da protagonista nella storia di questo pianeta, o dobbiamo prepararci ad un governo tecnocratico?
Perché invece non investiamo sulla ricerca per migliorare la vita su questo pianeta, per migliorare “l’umanità”.
Partiamo da qui: abbandoniamo l’idea malsana di perfezione, inutile e talvolta dannosa e che circola da troppo tempo in certi ambienti che si definiscono “scientifici”, dove si vorrebbe decidere di escludere “i diversi” o “i normali”.
La scienza è un dono fatto agli uomini. La vita è un dono. L’intelligenza è la nostra più grande e potente risorsa.
Rispettiamo la natura, rispettiamo gli esseri umani, rispettiamo la loro intelligenza.
Tutto è correlato, tutto ha un ruolo preciso nel ciclo della vita. Sforziamoci, anzi impegnamoci davvero per un futuro migliore, e per vivere la vita in armonia con la natura.
Ogni individuo conta, ogni persona ha un impatto sul pianeta ogni giorno.
E sta a noi decidere che tipo di impatto vogliamo avere, sta a noi decidere che futuro vogliamo creare.
Lavoriamo per migliorare la vita di tutti. Questa si che è una cosa davvero “intelligente”.
Vorrei ricordare le parole illuminate di Papa Francesco:
“Dio perdona sempre, gli uomini qualche volta, la natura mai”.
Bisogna sempre e comunque rispettare la dignità della persona, i suoi diritti, le sue legittime aspirazioni, la sua unicità, in un’ottica inclusiva, dove c’è spazio per tutti, perchè ciascuno mette in campo le proprie capacità e offre il suo prezioso contributo, contro ogni forma di emarginazione.
Se l’intelligenza artificiale servirà ad aiutare chi soffre di patologie neurologiche come Alzheimer, Parkinson, epilessia, depressione o altro, questo sarà un bene.
Ma se l’intelligenza artificiale vuole incrementare le nostre capacità cognitive attraverso l’impianto di interfacce neurali estranee e potenzialmente dannose per il nostro organismo, allora dobbiamo andarci molto, ma molto cauti.
Il funzionamento del nostro cervello è ancora, in buona parte, misterioso.
Il dott. Vincenzo Galatro è stato il primo ricercatore al mondo a procedere alla lettura dell’engramma, dimostrandone la sua utilità pratica nell’apprendimento e nell’acquisizione di nuove abilità e conoscenze, oltre che in una grande varietà di applicazioni. La ricerca pionieristica del Dott. Galatro apre la strada all’interpretazione e alla traduzione del linguaggio neurologico, oltre alla possibilità di poter scrivere e leggere il codice neurale.
Tutto questo per capire e utilizzare i segreti del cervello e della nostra mente per l’uomo, e non contro di esso.
Le nostre capacità cognitive, la nostra mente e la nostra intelligenza può essere migliorata in modo naturale.
Perché non farlo?